sabato 25 dicembre 2010

Un Vagabondo

Hannah, puoi sentirmi? Dovunque tu sia, abbi fiducia.
Guarda in alto, Hannah! Le nuvole si diradano, comincia a splendere il sole. Prima o poi usciremo dall'oscurità verso la luce e vivremo in un mondo nuovo, un mondo più buono, in cui gli uomini si solleveranno al di sopra della loro avidità, del loro odio e della loro brutalità.
Guarda in alto, Hannah! L'animo umano troverà le sue ali e finalmente comincerà a volare, a volare sull'arcobaleno verso la luce della speranza, verso il futuro, verso il glorioso futuro che appartiene a te, a me, a tutti noi.
Guarda in alto, Hannah.
Lassù!
-da Il Grande Dittatore

Charles Spencer Chaplin moriva esattamente trentatré anni fa, a Corsier-sur-Vevey, in Svizzera, dove viveva dal 1957. Era nato il 16 aprile 1889, a Londra. Capita, qualche volta, che Pasqua sia il 16 aprile. In quei casi si potrebbe dire che Charlie Chaplin è nato a Pasqua e morto a Natale. E oggi, 25 dicembre 2010, è il trentatreesimo anniversario della sua scomparsa.
Figlio di un'alcoolizzato e di una malata di mente, Charlie si dimostrò presto un'ottima presenza teatrale, grazie alla quale venne notato da un produttore e portato in California.
Che il personaggio per cui tutti lo ricordiamo, The Tramp o Charlot che lo si voglia chiamare, Il Vagabondo, insomma, sia quello che è forse allora non è proprio un caso. La casa di Charlie non era più l'Inghilterra, ma nemmeno era americano. Come poi non fu mai svizzero.
Ma le radici decise di metterle negli Stati Uniti. E mentre Buster Keaton catturava il pubblico con le sue acrobazie e il suo volto impassibile, lui lo rapiva con lacrime e risate.
Non era un uomo perfetto. Quattro mogli, molte amanti e molti figli. Una passione per le giovani vergini. Eppure è indimenticabile l'amore che racconta nelle sue pellicole, prive di parole, dense di sguardi e di gesti impacciati, quelli di un uomo innamorato, capace anche di grandi sacrifici. Come si possa spiegare quest'incongruenza non so dirlo.
Le donne che Chaplin ci vuole raccontare vengono viste dai suoi occhi come creature angelicate, che lui pone su di un piedistallo dal quale possano illuminare tutta la sala, immersa nel buio, mentre un pianoforte suona dalla buca. La gente sta seduta, ride, fuma. Dice una parola alla persona accanto. Si commuove. Poi, titoli di coda. Esce dal cinema, torna a casa.
Se Charlie Chaplin fosse effettivamente filocomunista non è mai stato accertato. Né che fosse antiamericano. I suoi film raccontano gli operai, i vagabondi, gli orfani. Raccontano i difetti e le contraddizioni di una società, che era sì quella statunitense, ma che poteva rispecchiarne anche un'altra. O più di una. La denuncia che può essere individuata nelle sue pellicole vuole essere forse una spinta a migliorare la situazione del paese in cui viveva, pur non essendo un cittadino.
Non ci è dato di sapere davvero quale fosse il suo punto di vista. E mentre partiva per l'Europa per una vacanza, fu emanato un decreto che gli impediva di rientrare, a meno che non avesse dimostrato di essere idoneo. Era il 1952.
Eppure, nel 1972, tornò ad Hollywood, per ricevere il premio Oscar alla carriera, e l'ovazione più lunga della storia dell'Academy Awards.

Charles Spencer Chaplin è stato molto più di tutto questo. Molto più di una serie di informazioni, pellicole e date. Inglese, americano o svizzero che lo si voglia chiamare. Che lo si ricordi come Charlot, Monsieur Verdoux, Calvero o Il Grande Dittatore.
Per me, rimarrà sempre in bianco e nero, nel mezzo della pista di un circo che non c'è più. Appallottola una stella di carta, si volta, la calcia via, e se ne va.

2 commenti:

  1. Brava. Mi suona bene anche se con un po' più di asciuttezza ci potrebbe guadagnarne. Una volta, tanti anni fa, mi chiesero di costruire un filmato che raccontasse Mast ( Manufacturer Advanced system technology ) che in altre parole altro non era che una forma assistita di gestione di un processo produttivo industriale. A commissionare il lavoro era l'Ansaldo e per l'Ansaldo una azienda di cui non ricordo il nome. A me giungeva perché in rapporto con Filippo Fabozzi. Naturalmente se arrivavano a me significava : soldi pochi e tempo per produrre anche meno. Ci voleva una idea. Un fulmine di idea. Quindi ecco la soluzione : "Tempi moderni" altro non era che la documentazione puntuale di un processo di produzione industriale moderno. Presi il film, lo tagliai, lo doppiai e raccontai Mast. Ero felice. Alla proiezione, a Genova, si incazzarono tutti. "Ma come si poteva ironizzare con tanta veemenza sul futuro dell'industria del nostro Paese ? ". La comunicazione era efficace ma non gradita. Quindi occhio !

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  2. l'amara verità è che son più brava a parlar male che a parlar bene!

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