mercoledì 18 maggio 2011

I'm a Cyborg, But That's Ok

Saibogujiman Kwenchana
2006
Regia di Park Chan-wook. Soggetto e sceneggiatura di Park Chan-wook e Jeong Seo-gyeong. Con: Lim Su-jeong, Rain, Oh Dal-su, Choi Hie-jin, Kim Byeong-ok, Lee Yong-nyeo, Yu Ho-jeong.
8,5/10

Young-goon (Lim) è un cyborg. Lo sa perché, mentre inseguiva l'ambulanza che le portava via la nonna, la sua bicicletta gliel'ha detto. Così, mentre lavorava in fabbrica, si è tagliata un polso e vi ha infilato dei cavi elettrici per ricaricarsi. Dopo questo episodio, Young-goon viene ricoverata in una clinica psichiatrica, dove incontra, insieme ad altri curiosi personaggi, Il-sun (Rain), sociopatico anti-socilae, che decide di aiutarla a restituire la dentiera alla nonna e a scoprire il proposito della sua esistenza.


Fiaba romantica raccontata con gli occhi dei suoi protagonisti, I'm a Cyborg riesce ad alternare scene di grande delicatezza a immagini ben più crude, come l'alimentazione forzata a cui viene sottoposta Young-goon, che si rifiuta di mangiare, e passa il tempo in mensa a leccare le batterie.
Park rovescia l'immagine del manicomio alla quale ci hanno abituato film come Qualcuno volò sul nido del cuculo, trasformandolo in un ambiente luminoso e ricco di colore, in cui la follia ricorda i giochi dei bambini, che urlano, si picchiano, ma si vogliono bene. E lo spettatore finisce quasi per invidiare quel mondo fantastico in cui tutto sembra possibile.

martedì 17 maggio 2011

Red

2010
Regia di Robert Schwentke. Soggetto di Warren Ellis e Cully Hamner. Sceneggiatura di Jon e Erich Hoboer. Con: Bruce Willis, Morgan Freeman, John Malkovich, Helen Mirren, Brian Cox, Marie-Louise Parker, Karl Urban, Richard Dreyfuss, Julian McMahon.
Voto: 7,5/10

Frank Moses (Willis) è in pensione, cerca di far crescere una piantina di avocado e passa le ore al telefono con la centralinista Sarah (Parker). Una notte però una squadra di agenti della CIA arriva a casa sua per eliminarlo per via di un'operazione top-secret svolta da lui in passato. Frank allora si mette alla ricerca dei suoi vecchi compagni Joe Matheson (Freeman), Marvin Boggs (Malkovich) e Victoria (Mirren), che rischiano a loro volta l'eliminazione, e con la collaborazione dell'ex-antagonista Ivan Simanov (Cox) tentano di scoprire cosa fosse accaduto tanti anni prima in Guatemala...

Forse è vero che a Hollywood non hanno più idee, se continuano a attingere da altri bacini, come quello, fortunatissimo, del mondo dei fumetti. In questo caso, come in pochi altri, l'operazione va a buon fine, e ci regala un film d'azione ironico e frizzante.
La trama non spicca per originalità, ma già il cast vale il prezzo del biglietto: John Malkovich nei panni del reduce folle diverte senza scadere nel ridicolo, Morgan Freeman mantiene la sua classe anche in tuta di ciniglia, Helen Mirren e Brian Cox, eleganti, romantici e letali. Bruce Willis, dal canto suo, non delude i suoi fans.
Aggiungete armi pesanti ed esplosioni, e il gioco è fatto.

mercoledì 11 maggio 2011

Limitless

2011
Regia di Neil Burger. Soggetto di Alan Glynn. Sceneggiatura di Leslie Dixon. Con: Bradley Cooper, Abbie Cornish, Robert De Niro, Andrew Howard, Anna Firel, Johnny Whitworth, Tomas Arana.
Voto: 7/10

Eddie Morra (Cooper) vive nell'autocommiserazione, cercando ivano di scrivere il romanzo commisionatogli dal suo editore. Un giorno incontra per caso Vernon (Withworth), il fratello della ragazza con cui era stato sposato molto tempo prima, ex spacciatore, che gli propone di provare un nuovo farmaco non ancora immesso sul mercato, in grado di migliorare le prestazioni cerebrali attivando tutte le aree del cervello. La pasticca ha subito un effetto che supera ogni aspettativa di Eddie, che improvvisamente riesce a vedere ogni cosa con una lucidità fuori del normale, recupera nozioni che non ricordava di avere mai appreso e completa le 90 pagine da consegnare all'editore in un solo giorno. Quando si reca da Vernon per comprare un altra dose del farmaco lo trova però ucciso. Ma le pasticche sono ancora nell'appartamento, e Eddie decide di utilizzarle per arricchirsi. Non sa ancora però che il farmaco ha pericolosi effetti collaterali...

Tratto dal romanzo The Dark Fields di Alan Glynn, Limitless dimostra subito la sua natura di prodotto riuscito. E lo fa nonostante gli evidenti buchi nella trama e l'altrettanto evidente inutilità dei personaggi interpretati da Abbie Cornish e Robert De Niro, il quale senza ombra di dubbio si trova lì solo per dare al regista la possibilità di far stampare un nome noto sulla locandina.
E sebbene lo spettatore si domandi perché Eddie Morra, dopo tutti i film di questo tipo già passati per le sale di proiezione, faccia gli stessi errori dei suoi predecessori, soprattutto alla luce degli effetti del farmaco, il film si tiene in piedi lo stesso, facendo pieno affidamento sugli effetti visivi e sul ritmo, che però perde colpi nella seconda parte, dando alle volte l'impressione di essere un brodo allungato.
Nel complesso un buon film medio.

martedì 19 aprile 2011

La Mosca

The Fly
1986
Regia di David Cronenberg. Soggetto di George Langelaan. Sceneggiatura di Charles Edward Pogue e David Cronenberg. Con: Jeff Godlblum, Geena Davis, John Getz.
Voto: 8/10

Seth Brundle (Goldblum), scienziato, e Veronica Quaife (Davis), giornalista, si incontrano durante un party, al quale lei è stata mandata a caccia di notizie. Brundle la invita nel suo laboratorio per mostrarle la sua invenzione, due capsule per il teletrasporto, che certamente cambieranno il mondo, non appena avrà sistemato l'ultimo difetto: non funzionano con gli esseri viventi. Mentre Veronica, con la quale si instaura una relazione amorosa, documenta il suo lavoro, Brundle riesce a completare la macchina, ma quando la prova su se stesso non si accorge che una mosca è entrata nella capsula con lui. Comincia così la trasformazione di Brundle in Brundlemosca.

Sebbene sia la seconda versione cinematografica del racconto di George Langelaan (la prima fu realizzata nel 1958 da Kurt Neumann) non si può parlare di remake: lo stile di Cronenberg è infatti chiaramente riconoscibile in ogni dettaglio, e non lascia scampo.
Per quanto La Mosca sia denso di elementi disgustosi (basti pensare alla graduale metamorfosi del protagonista), si avverte che non sono questi a sconvolgere, quanto il clima opprimente e angosciante creato dal regista, che trasmette la sensazione claustrofobica dell'assenza di una via di fuga, sensazione che si delinea in maniera sempre più definita nella seconda parte del film.
Altro elemento forte del film è il trucco, realizzato da Chris Walas, che nel 1989 diresse La Mosca 2.

mercoledì 13 aprile 2011

Kick-Ass

Ho riflettuto un po'.
Ho letto qualche recensione. E ho visto, soprattutto, i commenti del pubblico.
Mi dispiace, ma no.

Non mi interessa quanto Kick-Ass sia effettivamente fedele al fumetto da cui nasce, perché non è di fumetti che voglio parlare. Non mi interessa, in questa sede, sapere se il fumetto è bello o brutto, lungo o breve, Marvel o DC. Non mi interessa nemmeno sapere se il fumetto esiste veramente. Non è di questo che stiamo parlando. 
Nonostante gli entusiasmi delle folle -e non solo- io non posso, non riesco ad esprimere un giudizio positivo su Kick-Ass, perché non posso esprimere un giudizio positivo dopo aver passato due ore a prendermi a schiaffi per non dormire.
Il protagonista, con il quale suppongo lo spettatore dovesse empatizzare, è talmente ingenuo da risultare ottuso. Anzi, è ottuso e basta. Il fatto che non riesca a farne nemmeno una giusta come supereroe (anche perché sembra rifiutare ostinatamente l'uso del cervello) fa saltare i nervi. Anche se vien da pensare che lo scopo di tutti ciò sia renderlo simpatico, umano. Un nerd all'ennesima potenza che cerca di fare del bene. Ma anche come nerd fallisce, visto che quello che manca al nostro Dave è la maniacalità propria del nerd, che avrebbe potuto servirgli per non commettere tutti gli errori stupidi che di fatto commette. E non è neanche abbastanza ridicolo da far ridere. Insomma, il supereroe dei poveri non funziona.
Né passa il messaggio intorno al quale tutta la storia (dicono) dovrebbe ruotare, ovvero che improvvisarsi supereroi non è possibile: Hit Girl sembra proprio dimostrare il contrario, forte di un buon addestramento. E infatti ci regala le scene migliori del film, che tagliano il contatto con la realtà, ma se non altro spaccano i culi. E perdonatemi l'espressione.
Forse il punto è che vedere un ragazzino in tuta che si fa dare un sacco di bastonate perché crede di poter fare il supereroe non è una proposta poi così attraente.
Svegliatemi se faranno un film su Hit Girl.

lunedì 4 aprile 2011

Black Dynamite

...e dopo esserci ripresi dalla semiotica e dall'influenza si torna all'opera.

Black Dynamite
2009
Regia di Scott Sanders. Soggetto di Michael Jai White e Byron Minns. Sceneggiatura di Scott Sanders, Michael Jai White e Byron Minns. Con: Michael Jai White, Byron Minns, Tommy Davidson, Salli Richardson, Kym Whtley, Arsenio Hall, Obba Babatundé, Kevin Chapman, James McManus, Nicole Sullivan, Phil Morris, Roger Yuan, Phyllis Applegate.
Voto: 8/10

Black Dynamite (White), veterano del Vietnam, ex agente della CIA nonché esperto di arti marziali, vuol vendicare la morte del fratello Jimmy, coinvolto nel traffico di droga. Ma ben presto scopre che Jimmy lavorava sotto copertura per conto della CIA, e che qualcuno sta rifornendo i ragazzini del ghetto di eroina...

 

Se il filone blaxploitation funzionava negli anni '70, Black Dynamite dimostra che può funzionare anche oggi. Il look, il machismo, i capelli afro, i combattimenti a base di armi da fuoco e nunchaku sono esasperati e parodistici, ma ben fatti al punto che si fatica a trovare la differenza con gli originali.
Il ritmo non si perde mai, e l'insieme è costruito in modo impeccabile, il che ci ricorda che un buon film demenziale non è scoregge e Ben Stiller. E che essere un B-movie non vuol dire essere un film di serie B.
In cantiere un sequel.

lunedì 21 marzo 2011

RoboGeisha

Domani ho un esame e non ho proprio voglia di studiare...
-Gem Boy

L'ispirazione è un segno al quale l'artista non può resistere.
-Pubblicità dei pennarelli Giotto (e forse qualcun altro di più illustre, chissà)

Ci sono cose di fronte alle quali ci sentiamo costretti a dire la nostra opinione. Una di queste, per esempio, è la nuova app per iPhone e iPad che dovrebbe servire a curare i gay. Ma questo è un blog di cinema. E questo primo capoverso serviva solo a catturare la vostra attenzione. LOL.
Ok, ora arrivo al dunque.
RoboGeisha non è solo un film brutto.
RoboGeisha non è solo un film brutto giapponese.
RoboGeisha non è solo un film brutto giapponese con violenza gratuita.
RoboGeisha non è solo un film brutto giapponese con violenza gratuita e robottoni.
RoboGeisha non è solo un film brutto giapponese con violenza gratuita, robottoni e belle figliole.
Per capirlo, in caso non l'aveste ancora fatto, basta guardare il trailer:
Fatto?
Ecco.
Il film è un'ora, quarantuno minuti e trentadue secondi di questo, ma con in più preziosissime battute scritte e interpretate dal meglio dei Capitan Ovvio nipponici.
Della trama non parlo, perché non si parla di trama in film del genere, e al pubblico di RoboGeisha sicuramente della trama non importa. Né del fatto che non si capisca bene cosa sia la scena iniziale e in che punto della storia si collochi.
Una vera perla per gli amanti del trash.

giovedì 17 marzo 2011

She-Devil

1989
Regia di Susan Seidelman. Soggetto di Fay Weldon. Sceneggiatura di Barry Strugatz e Mark R. Burns. Con: Roseanne Barr, Meryl Streep, Ed Begley Jr, Linda Hunt.
Voto: 5,5/10

Ruth (Barr) è una donna decisamente poco attraente e priva di abilità domestiche particolari. Quando il marito (Begley) la lascia per la scrittrice di romanzi rosa Mary Fisher (Streep), bella, ricca e che vive in una casa che sembra una bomboniera, Ruth decide di vendicarsi portandogli via tutto ciò che conta per lui. Ed è proprio attraverso quest'operazione che riuscirà a ritrovare la stima di se stessa.

Tratto dal libro Vita e amori di una diavolessa di Fay Weldon, il film non ha particolari spunti da offrire, se non quelli classici della commedia americana per famiglie. Ruth e la Hooper (Hunt) ispirano simpatia, ma la vicenda, che vorrebbe essere dissacrante, non ci riesce fino in fondo, lasciando lo spettatore con un sopracciglio alzato. In sostanza però tutti i personaggi recitano bene la loro parte. Del resto, che colpa ne hanno se la trama non ha niente di speciale?

sabato 12 marzo 2011

Il Cigno Nero

Black Swan
2010
Regia di Darren Aronofsky. Sceneggiatura di Andres Heinz, Mark Heyman, John J. McLaughlin. Con: Natalie Portman, Vincent Cassel, Mila Kunis, Barbara Hershey, Winona Ryder.
Voto: 8/10

Nina Sayers (Portman) è una giovane ballerina che vive con una madre iperprotettiva e soffocante (Hershey). L'unica cosa sulla quale si concentra è il raggiungimento della perfezione tecnica, che ritiene fondamentale per diventare una famosa stella. Quando viene scelta da Thomas Leroy (Cassel) come protagonista per Il Lago dei Cigni, Nina si ritrova a dover affrontare un ruolo di purezza e precisione che le calza a pennello (il Cigno Bianco) e uno passionale e seducente del tutto al di fuori dalle sue corde (il Cigno Nero). L'equilibrio della ragazza, già vacillante, viene dunque profondamente scosso, anche a causa della nuova ballerina della compagnia, Lily (Kunis), tecnicamente imprecisa ma vivace e naturale, nella quale Nina identifica la sua rivale...

Si è sentito dire il bene e il male di questo film, e, data la natura del tema trattato, se ne può capire il motivo. Ma forse è solo una questione di gusto. Quel che è certo è che non avrebbero potuto scegliere una Nina migliore di Natalie Portman, a tratti una fragile bambola di carta, a tratti un uccello rapace.
La forza del film sono i suoi contrasti, bianco e nero, diavolo e acqua santa, eleganza e orrore, lo scontro violento e stridente tra due opposti, uno che incalza e l'altro che cede. E lo stesso accade con il pubblico:  se l'olio di Aronofsky trova olio vi si mischia, se trova acqua vi galleggia sopra.

giovedì 10 marzo 2011

E Morì Con Un Felafel In Mano

Ce la farò a riprendere il ritmo!!
Concedetemi oggi qualche espressione gergale, perché devo ammettere che ho delle difficoltà a parlare di questo film mantenendo un linguaggio di livello medio-alto.
In fin dei conti, quando ci vuole ci vuole.

He died with a felafel in his hand
2001
Regia di Richard Lowenstein. Soggetto di John Birmingham. Sceneggiatura di Richard Lowenstein. Con: Noah Taylor, Emily Hamilton, Romane Bohringer, Alex Menglet, Brett Stewart, Damian Walshe-Howling, Torquil Neilson, Sophie Lee, Francis McMahon, Ian Hughes, Robert Rimmer, Sayuri Tanoue, Haskel Daniel.
Voto: 6,5/10

Danny (Taylor), giovane aspirante scrittore, che adopera un rotolo di carta igienica infilato in una vecchia macchina da scrivere per non interrompere il flusso di coscienza (anche se ha battuto solo due frasi), è costretto, per una serie di curiose ragioni, a cambiare più volte casa, spostandosi da Brisbane a Melbourne a Sidney, trovandosi davanti di volta in volta femministe integraliste lesbiche, riti pagani per la fertilità, anarco-nazisti, poliziotti che sparano per uccidere, aspiranti attrici snob, omosessuali isterici e chi più ne ha più ne metta.

Tratto dal libro di John Birmingham, il film è sicuramente una buona fonte d'intrattenimento (e di masturbazioni mentali, specie se non si è troppo lucidi). Non si parla di una vera e propria trama, quanto di una serie di ritratti che ci presentano i personaggi più disparati, con alcuni dei quali alle volte forse anche lo spettatore ha dovuto avere a che fare. Tuttavia la formula funziona solo con un determinato tipo di pubblico, possibilmente dopo una serata movimentata, quando non si può più pensare di corsa, ed ogni frase assume un nuovo significato la cui eco rimbomba nella testa più e più volte.

venerdì 25 febbraio 2011

Il Grinta

In rapido recupero!

True Grit
2010
Regia di Joel e Ethan Coen. Sceneggiatura di Joel e Ethan Coen. Con: Jeff Bridges, Hailee Steinfeld, Matt Damon, Josh Brolin, Barry Pepper.
Voto: 8/10

1870, Arkansas. Mattie Ross (Steinfeld), di soli 14 anni, assolda lo sceriffo Reuben Cogburn (Bridges) per catturare Tom Chaney (Brolin), che ha ucciso e derubato suo padre, per poi fuggire in territorio indiano insieme a Lucky Ned (Pepper), capo di un gruppo di malviventi. Ai due si unisce il Texas Ranger LaBoeuf (Damon), già incaricato di catturare Chaney per crimini commessi in Texas.

Il film, più che essere un remake dell'omonima pellicola di Henry Hathaway (grazie alla quale John Wayne vinse il suo unico Oscar), è tratto dal romanzo di Charles Portis. Ma in questo caso il western è puramente un pretesto per raccontarla. Gli elementi che reggono il film sono ben altri, a cominciare dal cast. L'assenza del ritmo a volte fin troppo incalzante a cui Hollywood ci ha abituati fa tirare un sospiro di sollievo, tuttavia lo spettatore non rischia di perdersi, trattenuto dall'umorismo tipico dei fratelli Coen, che diverte ma non stucca.
La mano che ha mosso i fili de Il Grande Lobowski è ben riconoscibile e apprezzabile.
La vera pecca del film? Il trailer.

mercoledì 23 febbraio 2011

Urban Legend

Ce l'ho fatta.
Trasloco fatto, scatoloni sistemati e drenaggio tolto.
Racconto scritto e consegnato.
Ancora tre antibiotici da prendere, uno ogni 24 ore. Ma pare che ce l'abbia fatta.
Ora posso riprendere il mio impegno dove lo avevo lasciato.
Sperando di non crollare miseramente un'altra volta.
Sfortunatamente non ho ancora imparato a scrivere sempre le impressioni a caldo da utilizzare nei miei pezzi, quindi tutte le riflessioni, le impressioni e i pensieri freschi e fertili sono ormai pallidi ricordi pressoché inutili per la mia mania di perfezionismo. Specie se consideriamo la mia tendenza innata a perdere i dati. O a cancellarli. O a salvarli su supporti dotati di volontà propria.
Quindi, si riparte da zero. O meglio, da una mia analisi saccente di Urban Legend. Giusto per il gusto di parlar male di qualcosa. E sotto questo punto di vista, non c'è niente di meglio degli horror anni '90!

Urban Legend
1998
Regia di Jamie Blanks. Sceneggiatura di Silvia Horta. Con: Alicia Witt, Jared Leto, Rebecca Gayheart, Loretta Devine, Michael Rosenbaum, Joshua Jackson, Tara Reid.
Voto: 3/10

Una studentessa del New England Pendleton College viene uccisa a colpi d'accetta da uno sconosciuto nascostosi sul sedile posteriore della sua auto. Questo è l'inizio di una serie di omicidi: le vittime sono gli studenti, l'assassino un misterioso uomo incappucciato che imita le leggende metropolitane.
Natalie (Witt) sembra essere l'unica a credere che il serial killer esista veramente, ma nessuno le dà ascolto, se non Paul (Leto), a caccia di una storia per il giornale della scuola.
Ma c'è qualcosa che muove la mano del killer, qualcosa legato ad un massacro avvenuto nel campus 25 anni prima e al passato di Natalie...

Il film non è nient'altro che un horror anni '90. Niente da aggiunere a Scream e So cosa hai fatto, né alle loro parodie. Stessi personaggi, stessa storia, stessi meccanismi. Belle facce e poco altro. L'assassino si comporta esattamente come ci si aspetta che si comporti, le vittime fanno gli stessi errori e le stesse battute. Per non parlare poi del finale, che è una sorpresa solo per i personaggi. E, come in tutti i classici horror anni '90, al film manca una vera e propria ragione di esistere.
Può essere comunque una buona fonte di intrattenimento per i cultori del trash, anche se, sotto questo punto di vista, qualche getto di sangue in più farebbe comodo.
Due sequel: Unrban Legend The Final Cut e Urban Legend Bloody Mary.

mercoledì 9 febbraio 2011

Comunicazione di servizio

Sebbene i miei lettori siano due, credo che per coerenza col mio lavoro questo post sia necessario.
Ultimamente sono sempre stata in ritardo con i miei buoni propositi. I motivi sono validi, tuttavia non vorrei che, nella testa dei miei due lettori solitari (di cui uno solo ufficiale) si formassero pensieri del tipo: che sciocca donnetta poco costante, non sa nemmeno mantenere gli impegni che si è inventata da sola!
Quindi, a scanso di equivoci, ecco la mia giustificazione da lasciare sulla scrivania per la maestra.

Mi sono ritrovata con tre esami da dare, il che per me significa una corsa contro il tempo, una crisi di panico perpetua ed un unico oddio non so niente. Fatto l'ultimo esame, mi sono catapultata da Bologna a Firenze, per accudire il mio povero cane, abbandonato dagli infidi genitori che se ne sono andati a spassarsela in Marocco. Il giorno dopo il mio arrivo la mia faccia ha cominciato a gonfiarsi. Ascesso gengivale. Dentista, antibiotici, sguardo perso e funzioni cerebrali annientate. Nel frattempo imperversavano i preparativi per la festa di compleanni a sorpresa per quello che, in assenza di termini migliori, dovrò chiamare il mio fidanzato, il quale è riuscito a mettere tutti i bastoni che ha trovato tra le nostre ruote. Il giorno dopo ero tranquillamente approssimabile ad un cadavere. Nonostante tutto, ero riuscita a pubblicare il pezzo sul Variety.
Tornata a Bologna mi sono ritrovata davanti un nuovo e assai più intricato orario di lezioni, e in più, dato che sono stata curiosamente ammessa ad un corso di scrittura very cool, mi sono vista privata del mio preziosissimo venerdì pomeriggio. Ma fin lì poco male.
Nel frattempo ho finito il ciclo di antibiotici. Immediatamente la mia faccia ha ricominciato a gonfiarsi, e nonostante abbia ricominciato a prenderli tempestivamente, le mie condizioni peggiorano e peggiorano.
E così siamo arrivati ad oggi. Un antibiotico e un ketodol ogni 8 ore, inegratori, e una guancia perfettamente tonda, rossa e rovente. Voglio farmi abbattere.
Ciliegina sulla torta? Ho un trasloco da fare tra domani e martedì. E mi sento un cadavere.
Perché ho scritto tutto questo? Semplice: ho scoperto di essere sufficientemente paranoica da ritenermi obbligata a dare una giustificazione ufficiale a me stessa per il mancato rispetto delle scadenze, così da dormire meglio la notte.
Quindi, miei due eccelsi lettori, vi prego di scusarmi se non sarò in grado di postare niente di nuovo fino a trasloco fatto, gengiva guarita e racconto per il corso consegnato.
Vi ho mai detto che odio sentirmi sotto pressione?

PS: sono annebbiata dalle secchiate di pillole, mi scuso per i mille errori di battitura che sicuramente ci saranno. E perdonate anche la forma. Spero di riprendermi!

mercoledì 26 gennaio 2011

Chiude il Variety

Sì, sono in ritardo.

Due esami in due giorni, internet mi sta piantando in asso (grazie coinquilini, grazie tante…) e il mio hard disk ha deciso di morire senza alcuna ragione apparente, proprio ora che ero riuscita a scaricare le ultime puntate di True Blood, i sei film di Leuprechaun, i tre Poltergeist e i quattro Tremors. Ed essere privati dei propri film spazzatura quando già internet dà problemi e c’è un esame di sociologia da preparare è decisamente troppo per me.
Per fortuna il videoregistratore funziona ancora. Le videocassette un po’ meno, vista la loro età, ma per fortuna non soffro il mal di mare.
Avevo cominciato a scrivere Pazzi in Alabama, stavo riflettendo si Ghostbusters, Romero e Human Traffic, ma c'è qualcosa di più importante di cui vorrei parlare. Qualcosa che mi è finito sotto gli occhi, e che non potevo far finta di non vedere. E per quanto questo blog parli di cinema, non del cinema inteso come struttura fisica, mi sembrava doveroso rendere omaggio ad un vecchio amico. E sarò anche fuori tema, ma ero comunque fuori tempo.

Domenica 30 gennaio 2010 sarà l'ultimo giorno del Variety.
So di averne parlato con poco riguardo ultimamente. Ormai, da brava saccente cinefila snob, non lo frequentavo più da tempo, preferendogli circuiti alternativi, come il Flora, o il Fiorella. Ma so benissimo di essere passata da lì. Quasi ogni settimana, per parecchi anni, anche.
Non mi piace pensare a me stessa come a una che frequentava il cinema commerciale, oggi. Mi piace fare l'acculturata, la ganza, quella che ne sa, è di palato raffinato e si schifa quando un film è campione d'incassi al botteghino e vince troppi premi Oscar. Ma fa parte dell'essere snob.
Eppure il Variety mi piaceva. Mi ricordo quando cambiarono l'ingresso, "girandolo" dall'altra parte, e improvvisamente il tutto cambiò aspetto, diventando grande, attraente, accattivante. Più che un nuovo ingresso, era un'enorme vetrina. E penso fu più o meno allora che la nostra luna di miele finì.
Non mi piaceva la nuova faccia del Variety, che gridava "multisala" in maniera così sfacciata. Non mi piacevano più le locandine appese fuori, non mi piaceva più la gente dentro (eccetto quando, a 13 anni, mi resi conto di che bel ragazzo fosse quello delle patatine). Ma probabilmente, più che il Variety, ero cambiata io.
Ho visto tutti e tre gli ultimi film di Star Wars, là.
Al primo dovetti uscire a fare pipì nella scena saliente (come a Tarzan), il secondo fu un buco nero, e al terzo ero piegata in due dal ridere. E uscii tutte e tre le volte dicendo che i vecchi film erano molto meglio, ma che Yoda col laser era fighissimo.
Riuscirono persino a convincermi a vedere un film di Harry Potter, al Variety. Entrammo che era già cominciato da mezz'ora, non c'erano posti a sedere, e, data l'età media del pubblico in sala, c'era pure un fastidioso mormorio di sottofondo, che esplodeva in femminei squittii acuti ogni volta che qualche fico faceva qualcosa da fico.
Ma il periodo migliore fu (e qui purtroppo sono costretta ad ammetterlo) dopo l'uscita del primo Signore degli Anelli, che però confesso di aver visto al Colonna. Partendo dal presupposto che andavo alle scuole medie, indossavo maglioni enormi e pantaloni col cavallo sotto le ginocchia, ero pallida, non uscivo mai di casa, avevo un solo sopracciglio, la frangia lunga fino a metà naso e le occhiaie fino ai lati della bocca, il fatto peggiore rimane che mi ero innamorata di Orlando Bloom. E ora tutto il web puà saperlo. E' la vita.
Ma se ho accettato di confessare una cosa del genere è solo perché può aiutare a far capire quanto mi sentissi felice in un cinema (che al tempo era il Variety, appunto). Mi sentivo pure stranamente interessante, mentre, in una sala piena di dodicenni come me, con il jeans attillato e tre dita di trucco sulla faccia, mangiavo i miei pop corn facendo tra me e me commenti tecnici sul film, che sicuramente Orlando avrebbe apprezzato molto di più di tutto quel civettare preadolescenziale. E anche se adesso so che probabilmente non sarebbe stato così, all'epoca ci credevo fermamente. E questo fa parte, probabilmente, dell'essere sfigati e con un frangione-copri-sopracciglio.
Anche se le cose adesso sono cambiate, credo che la sensazione che è nata in quegli anni di "bruttezza eternamente rinnovata" (citando Persepolis) sia quella che poi mi sono portata dietro in tutti i cinema che hanno segnato la mia storia di saccente snob. Ho cambiato modo di vestire, di apparire, di parlare, ho cambiato gusti, ho valutato cose nuove e rivalutato cose vecchie, ma sono convinta che sia lì che tutto è cominciato. E sapere che adesso sta per finire, finire veramente, fa male. E' stato quello il primo luogo pubblico in cui un film mi ha fatto venire le lacrime agli occhi. E adesso piangere per la struttura anziché per il film è strano e sconcertante. Non potendo dargli un addio "reale", gliene dò uno qui. Per quello che può valere.
Rimpiango solo che l'ultimo film visto al Variety sia 2012.

sabato 8 gennaio 2011

American Life

In ritardo per il mio proposito "almeno una a settimana", mi giustifico dicendo che gli esami, il capodanno e il raffreddore tolgono una buona quantità di tempo, ovvero quello che di solito utilizzo per guardare i film e parlarne da sola per ore e ore (e ore, e ore, e ore, e ore...) creando la mia inattaccabile opinione personale, che, come alcuni sanno, è una vera e propria tagliola per i malcapitati che cercano di contraddirmi.
In attesa dell'illuminante opinione di un esperto psicanalista freudiano sull'argomento, mi rimetto al lavoro.

Away We Go
2009
Regia di Sam Mendes. Sceneggiatura di Dave Eggers e Vendela Vida. Con: Maya Rudolph, John Krasinski, Jeff Daniels, Catherine O'Hara, Allison Janney, Jim Gaffigan, Carmen Ejogo, Maggie Gyllenhaal, Josh Hamilton, Chris Messina, Melanie Lynskey, Paul Schneider.
Voto: 7,5/10

Burt e Verona Krasinski e Rudolph), trentenni, innamorati, conviventi ma non sposati, attendono la nascita della loro prima figlia. Ma, quando Verona è al sesto mese di gravidanza, scoporono che i genitori di Burt (Daniels e O'Hara), invece che prepararsi al loro compito di nonni, hanno deciso di partire per il Belgio il mese prima della nascita della piccola, per restarvi due anni. I futuri mamma e papà (che si erano trasferiti in Colorado per star vicino ai genitori di Burt) decidono allora di fare a loro volta le valige e andare alla ricerca di una nuova casa, incontrando vecchi amici, colleghi e parenti.

Il film è probabilmente l'esatto opposto di ciò che classicamente ci si aspetta da un prodotto made in USA: Hollywood ci dà pellicole dal ritmo incalzante, e questo invece è lento e poco ritmato; ci mostra la famiglia come nucleo unito, e qui invece la famiglia forse nemmeno esiste; ci racconta un paese che è sempre inscrivibile a New York o alla California, e in questo caso invece si vede un po' di tutto, tranne che di New York e California. Ma infatti questa non è una pellicola timbrata Hollywood.
Mendes, passato dai cinque premi Oscar di American Beauty ad un vero e proprio film indipendente, ci mostra il volto dell'America (e dell'Occidente) attraverso la famiglia-o la non famiglia. Ci racconta di come ognuno dei personaggi incontrati da Burt e Verona (e anche Burt e Verona stessi) cerchi di costruirsi le proprie certezze, vivendo in un nucleo più che in una comunità, seguendo i propri schemi e le proprie regole.
Il risultato è, nel complesso, gradevole, ma non sempre fluido. Mendes dipinge un quadro dove molti di noi potrebbero riconoscersi, anche se forse non tutti ne avranno voglia.